Disturbo Oppositivo-Provocatorio: intervista alla specialista

 

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Intervista alla Dott.ssa Antonietta Marciano, Psicologa

Si stima che il Disturbo Oppositivo Provocatorio (Dop) si manifesti nei bambini con una frequenza che va dall’1% all’11%, con una media del 3,3% circa. La percentuale cambia in base all’età e al sesso: si calcola infatti che questo disturbo sia più frequente nei maschi in età pre-adolescenziale anche se poi nelle fasi adolescenziali e adulte i dati quasi si equivalgono. Abbiamo intervistato la dottoressa Antonietta Marciano, psicologa e specialista nella terapia familiare, facendoci spiegare le particolarità di questo disturbo e il modo migliore per trattarlo.

Cos'è e come si manifesta il disturbo oppositivo provocatorio (dop)?

É un disturbo che riguarda la sfera comportamentale ed emotiva del bambino, caratterizzato da rabbia persistente ed inappropriata, irritabilità, comportamenti provocatori ed oppositività. Si parla di DOP quando si hanno sintomi persistenti almeno per sei mesi e che interferiscono e compromettono significativamente il normale svolgimento della vita del bambino nella sfera individuale, familiare, sociale e scolastica.

Foto Credits: mondoadhd.blog

Foto Credits: mondoadhd.blog

Quali sono i campanelli d'allarme?

E’ importante distinguere il DOP dai semplici capricci dei bambini, spesso correlati ad una fase stressante del ciclo vitale familiare (lutti, traumi, cambiamenti) oppure ad una tappa evolutiva specifica (ad esempio la fase in cui il bambino sperimenta la sua onnipotenza/indipendenza intorno ai 18/36 mesi). La caratteristica principale dei bambini affetti da DOP è la persistente sfida nei confronti degli adulti di riferimento soprattutto in situazioni che implicano il rispetto delle regole. I sintomi tipici sono: collera, irritabilità, ostilità, atteggiamento provocatorio, scarsa tolleranza alla frustrazione e spesso iperattività/ impulsività. Infatti, in concomitanza al DOP, i bambini possono presentare anche l’ADHD, sindrome di iperattività e disattenzione. Solitamente questi bambini sono brillanti, possono avere un'intelligenza superiore alla media e una sensibilità molto elevata ma allo stesso tempo una bassa autostima e una difficoltà a definirsi in termini emotivi. Ad esempio, se non riescono a portare a termine un compito tendono immediatamente a rinunciare e a dare la colpa a qualche fattore esterno per il fallimento sperimentato. La rabbia e i comportamenti impulsivi coprono spesso sentimenti di profonda colpa e vergogna.

C'è un'età specifica in cui si manifesta questo disturbo?

La diagnosi solitamente avviene intorno ai sei anni, non a caso in età scolare. Il contesto scuola, infatti, espone il bambino a numerose sollecitazioni e cambiamenti: il confronto tra pari, il rispetto di regole più rigide e l’apprendimento di contenuti prima sconosciuti. Il bambino affetto dal Disturbo Oppositivo Provocatorio si scoraggia facilmente, sentendosi “incapace” rispetto ai compiti assegnati ma anzichè chiedere aiuto, tende ad andare in collera e ad innescare un’escalation di comportamenti disfunzionali che spesso culminano in vere e proprie “crisi” (urla, lancio di oggetti o sfida diretta nei confronti di un adulto).

C'è una causa scatenante?

Non c'è una sola causa ma sono tanti i fattori di rischio che possono concorrere nell'insorgenza del DOP: fattori genetici, temperamentali e ambientali. Avere un familiare affetto da Deficit di iperattività e disattenzione (ADHD) o con il Disturbo Oppositivo Provocatorio accresce la probabilità. Per quanto riguarda i fattori temperamentali possono incidere soprattutto un'elevata sensibilità, una scarsa reattività alla frustrazione e una bassa regolazione del controllo degli impulsi. A livello ambientale i fattori di rischio insorgono in situazioni di trascuratezza emotiva, abusi, instabilità familiare ed in presenza di uno stile genitoriale caotico e disorganizzato (troppo rigido vs troppo permissivo).


Come va trattato questo tipo di disturbo dal punto di vista della terapia? È bene includere anche l'aspetto scolastico e familiare?

É bene considerare due aspetti. Il primo è che il bambino, considerato come un piccolo despota, in realtà non ha colpa ed è in balia delle sue difficoltà; va quindi aiutato nell'autoregolazione e nel contenimento delle sue emozioni. Il secondo è che le continue sfide e provocazioni del bambino attivano delle reazioni emotive diverse nei genitori in base al proprio vissuto e alla propria storia personale. In terapia pertanto è fondamentale il coinvolgimento dell’intero nucleo familiare: i genitori sono delle risorse preziose, coloro che conoscono maggiormente il bambino La terapia cognitivo comportamentale individuale per il bambino rappresenta un valido trattamento che va ad agire sui comportamenti “problema” focalizzandosi sulla gestione dei pensieri e delle emozioni. Questa terapia va associata ad un Parent training, un trattamento per i genitori che li aiuta nell'esercizio delle loro funzioni genitoriali. La terapia familiare non sostituisce quella individuale ma può piuttosto affiancarla: è molto efficace quando sono presenti delle difficoltà relazionali all'interno della famiglia e va a lavorare sulle reazioni emotive dei membri della famiglia alla luce della storia individuale e relazionale di ciascuno. Un buon esito della terapia dipende non tanto dal tipo di trattamento e dall’approccio scelto quanto dalla qualità della relazione che si instaura tra terapeuta e famiglia. Anche la scuola va inclusa in questo processo di trattamento, creando un ponte ed una collaborazione tra la famiglia, la scuola e il terapeuta.

Oltre alla tradizionale terapia ci sono altri “trattamenti” dai quali il bambino può ricevere giovamento come ad esempio lo sport?

Assolutamente sì. Tutte le attività che favoriscono la cooperazione e allenano le competenze emotive del bambino possono essere d'aiuto. Gli sport più indicati sono soprattutto quelli dove si sta in piccoli gruppi, con delle regole molto semplici e dove è privilegiata la componente motoria: ad esempio il calcio e il rugby.