Psicologia: credere o non credere…questo è il problema

 

Scritto dalla Dott.ssa Nancy Mazzella, Psicologa-Psicoterapeuta

Tempo di lettura: 10 minuti

Federica, giovane architetto, dice che “le persone si dividono in quelli che credono e quelli che non credono allo psicologo e che lei appartiene a questa seconda categoria”, secondo lei i problemi non si possono risolvere parlando.

Non credo negli assoluti del tipo o ci credi o non ci credi, o bianco o nero, e questo sia per natura che per formazione clinica.

Partendo dall’affermazione di questa giovane donna ho deciso di approfondire la tematica del “cosa” potrebbe impedire di credere nell’aiuto di uno psicologo. I fattori che rendono difficile immaginare di ricorrere ad uno psicologo nonostante si avverta o sia visibile un disagio sono molteplici e sono un terreno a metà strada tra l’individuo e la società: pesano molto falsi miti personali di autosufficienza ad ogni costo, falsi miti culturali che collocano psicologi e psicoterapeuti nell’area della malattia mentale e influenzano una scarsa conoscenza e scarso contatto con il proprio mondo interno che, sentito alla stregua di un vero “Vaso di Pandora”, potrebbe se stappato, far incontrare mali ancora peggiori di quelli che fanno desiderare di chiedere aiuto.

Di seguito alcuni dei temi che accomunano i “non credenti”:

1. “È impossibile risolvere problemi concreti solo parlando”

In realtà Parlare, dialogare, permette di dare forma alla realtà che viviamo. Attraverso il linguaggio, descriviamo la realtà dandogli un significato e lo costruiamo nel momento in cui siamo chiamati a domandarci cosa sentiamo o proviamo rispetto ad un determinato evento. Il lavoro terapeutico è un modo per dare un nuovo senso e significato al mondo e ai nostri atteggiamenti e comportamenti in relazione ad esso e di comprendere i principali meccanismi che mettiamo in atto in tutti i nostri ambiti di vita. Conoscerli ci permette di creare previsioni e di reagire in modo più armonico rispetto ai nostri obiettivi e bisogni.

2. “ Il mio problema non è una cosa grave : mica sono matta!”

Eccolo che torna. Lo stigma della malattia mentale. Solo in apparenza superata, persiste l’idea che lo psicologo sia una figura si occupa prevalentemente di malattia mentale conclamata. Questo scenario rende difficile pensare e cercare un sostegno ed incide molto sulla valutazione del proprio malessere: si immagina che, solo se c’è totale compromissione di tutte le sfere di vita, allora serva chiedere aiuto. La continua ricerca di soluzioni in autonomia ai propri problemi, soprattutto a fronte di tentate soluzioni infruttuose, può portare paradossalmente ad ingigantire il problema o a modificarlo in qualcosa di ancora più complesso. È il fenomeno della soluzione che diventa il problema, già noto agli esperti problem solver.

3.“ Si ma tanto non cambia nulla!”

In altre parole: Paura del cambiamento e pessimismo. Questo pessimismo spesso nasconde altro, ad esempio la paura di cambiare o la sensazione di non avere diritto a ricevere aiuto e quindi una sorte di punizione autoinflitta. La paura di cambiare è un aspetto che può sembrare paradossale, perché, parliamo di sofferenza ed il cambiamento rappresenterebbe uscire da schemi o meccanismi che mantengono tale sofferenza. Tuttavia il punto è che cambiare comporta sempre una dolorosa separazione da modi di essere, di pensare e di comportarci che ci accompagnano da una vita intera e che ci sono noti e familiari. Si preferisce pensare che dovrebbero essere gli altri a cambiare, pur di evitare l’incognita di un cambiamento.
Carl Rogers diceva: “Tutti abbiamo paura di cambiare. Una delle ragioni principali della resistenza a comprendere è la paura del cambiamento: se veramente mi permetto di capire…. posso essere cambiato da quanto comprendo.

4.“ Chissa che risate si fanno alle spalle dei pazienti”

Paura di essere giudicati. Qui si inserisce un’altra paura che può rendere difficile chiedere aiuto: il timore di essere giudicati, cioè il timore che alla fatica del mettere a nudo il proprio cuore corrisponda la critica. In realtà, a uno psicologo non interessa giudicare ma capire cosa e come vede il proprio mondo la persona che a lui si rivolge per offrire consapevolezza ed uno sguardo più complesso che includa nuove risorse per superare gli ostacoli di sempre. Il giudizio che si immagina di poter sentire di solito è il proprio su stessi, il più severo di ogni altro.

5.“ Oddio poi chissa quanto piangi…”

In altre parole: paura delle emozioni
Molte persone non vogliono parlare del modo in cui si sentono, non vogliono entrare in contatto con le loro emozioni più dolorose. Il pensiero del dolore blocca l’incontro con l’esperienza stessa del dolore. Questo impedisce di accedere alla consapevolezza che si è capaci di sopravvivere ai nostri timori e di poter stare nelle emozioni senza esserne sopraffatti. Un esercizio fondamentale per poter diventare individui centrati ed adulti il confronto in una relazione.

6. “Poi entri in una spirale e non sai fare piu’a meno dello psicologo”

La paura della dipendenza. La dipendenza è una condizione fondamentale nelle relazioni affettive e significative, ma in condizione di fragilità viene pensata come assoluta per cui sorge il timore/desiderio di diventare incapaci di prendere qualsiasi decisione senza il terapeuta.
Praticare la psicoterapia, non significa fare qualcosa al soggetto, né convincerlo a fare qualcosa per sé; si tratta invece di liberarlo perché possa crescere e svilupparsi in modo autonomo, e di rimuovere ostacoli in modo che possa andare avanti”.
(Carl Rogers)

7. “Anni e anni sul lettino”

Paura che la psicoterapia duri troppo… Non è detto che la psicoterapia sia l’unica possibilità di intervento psicologico. A seconda del motivo della consultazione e del metodo di lavoro del professionista, può essere attivato un percorso di consulenza psicologica che può durare solo qualche colloquio, oppure percorsi brevi e focalizzati sulla soluzione di uno specifico aspetto problematico, accanto alla possibilità di percorsi di psicoterapia più approfonditi che possono durare diversi mesi di lavoro. In tutti i casi vengono sempre fissati con la persona gli obiettivi e il metodo di lavoro, anche a seconda di quanto la persona desideri o possa impegnarsi.

8. “Lo psicologo costa troppo!”

Infine, la questione economica: ci sono persone per cui la spesa di una consulenza e di una eventuale psicoterapia è insostenibile e si tratta di un dato oggettivo. Tuttavia, per altre il riferimento al costo può rappresentare una difesa per continuare ad evitare di guardarsi dentro e ad evitare di mettersi in gioco.

Per concludere:

Poche cose sono spaventose come l’incontro con se stessi, cioè con chi siamo davvero a fronte dei chi dovevamo o dovremmo essere.
Jung diceva che “L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli ma produttive nella nostra vita. Chi è in condizione di vedere la propria Ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito: ora almeno si trova davanti al suo vero Sé, indifeso, raccapricciante ma autentico”.

Ed autenticamente non conosco un’avventura più straordinaria di quella che mi ha condotto e che conduce a sé stessi.

 
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